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Assistenti Infermieri: È questo il futuro radioso che immaginiamo per la nostra professione?

L’ordine del giorno, approvato il 19 luglio u.s., a latere del provvedimento di legge sulle “liste di attesa”, per l’introduzione della figura dell'assistente infermiere, in aggiunta a precedenti proposte, e per il riconoscimento dei titoli degli operatori sanitari stranieri, non può non sollevare un'ondata di forte preoccupazione.

Le due proposte, apparentemente mosse da qualche intento condivisibile in premessa, presentano in realtà criticità tali da mettere a rischio la tenuta del sistema sanitario, la tenuta stessa della professione infermieristica e la sicurezza dei pazienti.

L'introduzione -  su vasta scala - dell'assistente infermiere appare sempre più essere un passo indietro.  

Rischia di generare confusione e ambiguità in un sistema sanitario che, al contrario, necessita di chiarezza e professionalità. La crescente complessità dell’assistenza richiede infermieri con una formazione universitaria completa e approfondita, in linea con la Direttiva europea 55/2013 e successive varianti, affiancati da personale di supporto qualificato.

L'assistente infermiere, lungi dal risolvere la piaga del demansionamento (che attiene all’attribuzione a personale infermieristico delle mansioni inferiori del personale di supporto OSS e ausiliario a diversi livelli, prevalentemente per carenze di personale), creerebbe una figura “ibrida” (cui verrebbe, secondo la proposta, affidata l’intera attività di somministrazione della terapia) che viene proposta come soluzione alla carenza di attrattività infermieristica, con il rischio concreto invece di:

  1. Compromettere la sicurezza dei pazienti, affidando attività delicate a personale non adeguatamente formato.

  2. Sminuire il ruolo e le competenze dell'infermiere, creando una figura “low cost” che potrebbe essere utilizzata per sostituire professionisti qualificati in attività che richiedono competenze specifiche.

  3. Generare confusione nei cittadini, incerti su quale figura professionale si stia occupando della loro salute.

L'esperienza internazionale non mente: non esistono prove tangibili che la presenza di figure ibride come l'assistente infermiere comporti un sicuro miglioramento degli esiti per i pazienti o una riduzione dei costi per il sistema sanitario nel lungo periodo.

Prove di sicurezza delle cure che per converso esistono nel caso di avere più infermieri laureati e più infermieri di pratica avanzata.

Anzi, l'impatto sulla formazione, sulla necessità di supervisione e sulla modifica dei modelli organizzativi già consolidati potrebbe rivelarsi  molto controproducente.

Allo stesso tempo, la presenza di ben oltre 13.000 infermieri “in esercizio professionale temporaneo”, provenienti da Paesi extra UE, sulla base delle norme post-pandemiche richiedono, di certo, un immediato ritorno alla normalità e l'avvio delle verifiche sulla loro formazione, mai svolte.

Certamente, come indicato, va garantita la piena parificazione della preparazione di queste figure, per garantire la sicurezza delle cure che lo Stato deve garantire ai cittadini.

Sanatorie o riconoscimenti, per converso, in assenza di una verifica rigorosa dei requisiti, rappresenterebbero una soluzione superficiale e potenzialmente rischiosa (anche attribuendo loro il titolo di “assistente infermiere”).


Nel merito, la Legge 3/2018, nelle sue nobili intenzioni di tutela dei cittadini, affida al sistema ordinistico una grande responsabilità di interesse pubblico quali il miglioramento della capacità del sistema sanitario di offrire assistenza ai cittadini, tramite il contributo delle professioni infermieristiche e la tutela dell’esercizio professionale degli infermieri nell’interesse esclusivo del cittadino;

Davvero la proposta di istituzione degli "assistenti infermieri", figure ibride con competenze limitate e costi inferiori, che appare come una pericolosa scorciatoie che rischia di minare le fondamenta stesse della professione infermieristica, è tale da essere ricomprensa tra le grandi vittorie per la professione come indicato già lo scorso anno da segmenti della rappresentanza professionale.

O ancora quella di proporre lauree magistrale a indirizzo specialistico, che paiono svuotate dai contenuti di pratica avanzata, prescrizione farmacologica e autonomia ampliata?

Non risultano a mia conoscenza, al mondo, organizzazioni infermieristiche regolatorie che intepretino in questo modo, al ribasso, la necessità di  valorizzazione della professione, di difesa dell'autonomia decisionale e di riconoscimento clinico, accademico e strategico degli infermieri.


Davvero qualcuno può pensare che il futuro radioso che si immagina per la nostra professione sia questo?


Appare a chi scrive, giunto il tempo di tracciare una nuova linea di azione infermieristica, di discontinuità programmatica, di un rinnovato impegno di iniziativa dell’intera comunità infermieristica.

Non si possono subire “soluzioni” che ci riportino indietro, rispetto al bisogno di una visione coraggiosa che ci proietti verso un futuro di concreti riconoscimenti.

La vera soluzione è investire sugli infermieri e riconoscerne il valore: investimento serio e a lungo termine sulla formazione, sulle condizioni di lavoro, sulle retribuzioni e le incentivazioni, sull’autonomia professionale e le competenze avanzate

Solo così sarà possibile garantire un futuro solido al sistema sanitario e offrire ai cittadini l'assistenza infermieristica di qualità che meritano.

Walter De Caro

Presidente Nazionale CNAI



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